Itinerari turistici nel Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterone, Campigna
La cascata dell’Acquacheta
Il sentiero che vi porta, uno dei più belli dell’Appennino romagnolo, inizia da San Benedetto in Alpe, 495
metri e senza mostrare grandi difficoltà risale il fosso dell’ Acquacheta. La lunghezza del percorso tra andata e ritorno, è di 9 km circa e richiede, di buon passo, 3 ore e mezza di cammino. Mentre il torrente Acquacheta, tra cascatelle e balzi si perde in profonde gole, si oltrepassano le foreste che ammaliarono anche il sommo Boccaccio.
Lungo il percorso si possono vedere resti della civiltà contadina, come il capanno del Rospo, realizzato nel 1906, e il Molino dei Romiti, restaurato ultimamente, che è adibito da bivacco, mentre su camminano bellissimi tratti di sentiero lastricato. La cascata è alta 70 metri e larga 35 metri e precipita lungo una ripida gradinata di strati rocciosi orizzontali, sbalzando su punte rocciosi, con un effetto molto spettacolare, apprezzabile specie in primavera e in autunno, quando più grande è la portata d’acqua del torrente.
Il sentiero sale fino al Piano dei Romiti (720 m) dove i monaci dell’abbazia di San Benedetto nel 986 costruirono l’eremo detto oggi Letto di Dante, da dove si può avere una stupenda vista su tutta la valle dell’Acquacheta.
Monte Falterona
Le ascensioni al monte Falterona, circa 1654 m, e al vicino monte Falco di 1658 metri, le due cime più alte del Parco e di questo tratto appenninico, si possono concludere partendo da Campigna, ma anche dal passo della Calla, da Bocca Pecorina e da Castagno d’Andrea, che regalò i natali al pittore quattrocentesco Andrea del Castagno. I sentieri nella zona sono molteplici e concedono di arrivare, sul fianco del Falterona a 1358 m di quota, la località Capo d’Arno dove fluiscono, dal centro di una conca, le sorgenti del fiume fiorentino.
Durante le gite, di diversa difficoltà e durata, è possibile scrutare tutti gli uccelli che abitano in queste foreste, anche se è più facile udire i canti, e con un po’ di fortuna, specialmente nelle prime ore del mattino, si possono vedere timidi caprioli e cervi. Molto importanti dal punto di vista botanico i sentieri sul monte Falco dove scopriamo differenti stazioni di grande interesse floristica.
In prossimità di Capo d’Arno si trova la depressione del lago degli idoli, un tempo presa dal lago Ciliegeta dove, a partire dal 1838, a seguito di un primo rinvenimento di un bronzetto etrusco rappresentante Ercole, realizzata da una pastorella, furono ritrovati altri 650 reperti etruschi, forse doni votive alle capacità curative del luogo, oggi custoditi in vari musei europei.
La Verna
Questo santuario attaccato alle rocce del monte Penna, circa 1283 metri, nell’estremità meridionale del Parco, deve molta della sua fama al fatto di essere stato il luogo dove il 17 settembre 1214 San Francesco prese le stimmate. Il suo fascino è dovuto anche alle bellissime foreste secolari di faggi e abeti che lo accerchiano, restituendo un luogo di grande influenza.
Durante il soggiornò del santo scorse il tempo per scrivere le Lodi di Dio Altissimo e la Benedizione a frate Leone. Dai fioretti di San Francesco conosciamo che il santo ebbe in dono il monte dal conte Orlando da Chiusi e che accolse dopo aver inviato in ricognizione due suoi confratelli a cui il conte dispose un sopraluogo in pompa magna.
La Verna è quindi tutt’oggi il luogo delle memorie francescane, con il convento, le celle dei frati e i luoghi dove si compirono molti miracoli del santo, ma è anche una delle foreste più spettacolari dell’Italia che vanta la presenza di quattro esemplari di abete bianco con tronchi grandissimi di quasi 5 metri di circonferenza e faggi secolari. Sfortunatamente non c’è più l’Abetone, un grandissimo patriarca arboreo che la mitologia faceva risalire a san Francesco.
Nelle foreste della zona si aggirano cervi e caprioli, tordele e picchi, tassi e lupi. La loro scoperta in questi ambienti può accadere più che altro comprendendo le deboli tracce che abbandonano sul terreno e sui tronchi, oppure identificando i canti che escono dal fitto della vegetazione.
Piacevole la passeggiata sulle mulattiere che uniscono Beccia a Chiusi della Verna; è possibile pernottare nella foresteria del santuario che da secoli offre accoglienza ai viaggiatori.
Campigna
Lungo la panoramica si SS 310 che arriva al passo della Calla abbiamo Campigna, una delle maggiori mete turistiche del versante romagnolo, in passato centro rilevante per la produzione di prezioso legname d’abete bianco da qui veniva spostato agevolmente a Firenze. Intorno a Campigna abbiamo la così chiamata Bandita, che dava il legname per la cura di Santa Maria del Fiore a Firenze. Campigna abitavano i boscaioli ed era attiva una segheria ad acqua per la trasformazione del legname. Da qui venivano anche governati le azioni di riforestazione che permettevano alle foreste di rigenerarsi.
L’ottocentesco palazzo granducale dei Lorena, un tempo residenza di caccia è stato oggi modificato in albergo a Campigna raffigura il punto di partenza perfetto per gradevole passeggiate nelle foreste vicine.
La Bandita è stata dichiarata nel 1977 Riserva Biogenetica dello stato: è una splendida faggeta in cui si schiudono radure come quelle di monte Falco, di la Burraia e di Poggio Scali, dall’ampio interesse botanico. Poco lontano ci imbattiamo anche Corniolo, centro turistico che offre ordinamenti alberghiere tutto l’anno, accerchiato circa da 10.000 ettari in cui a partire dal 1958, ovvero dall’allontanamento delle campagne da parte dei contadini, si sono svolte attività di riforestazione e di perfezionamento agrario da parte dell’azienda forestale dell’Emilia-Romagna. Da Campigna si sale infine al passo della Calla, dove passava una strada innalzata dal console Flaminio che, secondo la leggenda fu attraversata da Annibale durante la sua calata in Italia.
Riserva naturale integrale Sassofratino
La riserva, che fa parte della storia del mantenimento della natura in Italia, difende una delle foreste più belle degli Appennini : già prima della sua fondazione e tutela illimitata, la foresta, per la complessità di esaurimento, aveva mantenuto un apparenza primigenio.
Sebbene i tagli realizzati in passato e documentata da molti toponimi attribuiti alla presenza di segherie ad acqua, ed è tutto un rigoglio popolato da cervi, daini e caprioli.
La foresta si sviluppa anche in Toscana, nella riserva naturale. La pietra, cosi detta per uno spuntone roccioso che sporge dalla fitta faggeta che ai tempi dei granduchi dava aste lunghe e dritte adoperate per concepire remi per galere e picche da battaglia. Questa riserva è dominata dal Poggio Scali (1520 m), da dove si gode di una bellissima vista, rammentata anche dall’Ariosto in cui l’occhio “scopre il Mar Schiavo e il Tosco”. Qui, nelle radure al lato delle faggeta, si può scoprire il botton d’oro, in una delle rare stazioni appenniniche.
Monastero ed eremo di Camaldoli
Un’escursione, per cosi dire, forzata per chi visiti questo Parco nazionale è quella del monastero e all’eremo di Camaldoli, accerchiati da bellissimi boschi di faggi e abeti bianchi e lambiti dal fosso di Camaldoli.
All’antico monastero, citato anche da Dante nel V canto del Purgatorio, sono collegati gran parte del fascino e della storia di queste foreste. L’eremo fu la sede originaria dell’ordine dei camaldolesi fondato da San Romualdo nel 1012 e nel XVI secolo fu rilevante centro culturale e sede dell’accademia umanistica promossa da Lorenzo il Magnifico dove si pubblicarono le note Costituzioni Camaldolesi. Per secoli fu meta per i viaggiatori e visitatori, come rammenta anche l’Ariosto in una allegoria dell’Orlando Furioso.
Meritano di essere visti la chiesa interna dei Santi Donato e Illariano, della prima metà del XVI secolo, il refettorio dei monaci, la farmacia e il chiostro.
Accanto al monastero si innalza per 24 metri, retto da un tronco di 1,5 m di diametro, un enorme cedro che fu coltivato nel 1861, prima essenza esotica messa a dimora nelle foreste casentinesi.
Dal convento, invece di usare la strada, si possono spostarsi i molteplici sentieri indicati che oltrepassano la foresta di Camaldoli, risultato dell’opera plurisecolare dei frati che, nel riguardo delle loro Costituzioni, dopo la cultura dello spirito e la virtù dell’ospitalità avevano come dovere la cura delle foreste. Queste selve sono la celebrazione dell’abete bianco, albero che per i camaldolesi è immagine di speranza e meditazione, il cui sviluppo è protetto dal suolo arenaceo e dal clima umido. L’eremo conserva ancora la struttura originare con le piccole realizzazioni delle celle monacali isolate l’una dall’altra, capace ognuno di un orto e di quant’altro dipendeva ai monaci per un frugale mantenimento. L’intera struttura è ancora oggi accerchiata alla corona d’abeti che sin dal 1520 lo difende dalle tempeste di neve invernali.
La cella de’Medici, innalzata per la penitenza della principessa Maria de’Medici che aveva avuto il coraggio di entrare nell’eremo travestita da uomo, è abbellita da opere d’arte, presenti in ogni modo anche in altre celle.
I monaci del monastero, come da antica tradizione, accolgono ancora nella foresteria i ospiti alla ricerca di meditazione e meditazione religioso, dando l’occasione di una vacanza di grande fascino. Nell’antica farmacia del monastero si possono comperare infusi di erbe, cosmetici naturali, liquori e miele prodotti dai monaci.
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