Storia del Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterone, Campigna
Secondo la leggenda, nel 1012 San Romualdo, monaco benedettino dell’abbazia di Pomposa, si assicurò dall’imperatore Enrico II circa 160 ettari di terra nel fianco toscano a riparo del crinale in “un luogo tutto cinto e circondato intorno da grandi e folte selve d’abeti”. Vi eresse un eremo dando vita all’ordine dei camaldolesi. La direzione forestale entrò cosi a far parte della regola dell’ordine, in partenza trasmessa oralmente, che rappresentava un minuzioso codice forestale ricondotto e aggiornato anche negli statuti dei monaci camaldolesi, richiesti nel 1278 dal priore Gherardo.
Il vita del parco durante il medioevo e il rinascimento
Già in quell’epoca le foreste, per la loro ubicazione geografica erano oltrepassate da viaggiatori, e pellegrini dai viandanti richiamati dalla presenza del monastero. Nel versante romagnolo del crinale, tra il 1380 e il 1442, la Repubblica Fiorentina tolse ai conti Guidi di Modigliana e di Battifolle le loro proprietà e le diede all’opera del duomo di Firenze, che avrebbe amministrato per più di 400 anni.
Le foreste diedero il legname per la realizzazione di Santa Maria del Fiore e di altri rilevanti edifici fiorentini, e grandi quantità di legname vennero rivendute agli arsenali di Livorno e Pisa, dove i luoghi e dritti tronchi di abete bianco si convertirono in alberi maestri per le navi da guerra.
Il beato Paolo Giustiniani, nel 1520, fece riprodurre nella tipografia del monastero di Camaldoli le regole della vita Eremitica, in cui i saggi metodi di gestione forestale creati dai monaci in secoli di esperienza vengono largamente descritti. Principalmente si trattava di limitare i tagli ai soli bisogni dei monaci, di stabilire i guadagni di possibili vendite ai sviluppi forestali, di mettere a sede ogni anno almeno 4 o 5000 abeti. Queste regole, di grande progresso e tuttora attuali, permisero ai monaci di sfruttare per secoli le foreste assicurandone un rinnovo continuo.
Nel 1561 anche l’Opera del duomo di Firenze, ricomposta da Cosimo de’ Medici, si diede nuove regole di amministrazione forestale e fondò un corpo di sorveglianza che doveva allontanare i tagli abusivi e verificare il rispetto dei contratti tra i privati e l’Opera. Nel 1610, poi, l’Opera prese l’affidamento dal granduca Cosimo II un tratto di faggeta nel versante toscano e altri boschi giunsero da acquisiti in Casentino e in Romagna.
Il parco durante XVII e XVIII secolo: tra distruzione e salvaguardia
Il XVII e XVIII furono secoli di eccessivo sfruttamento delle foreste, da cui fu ricavata gran parte del legname commerciato all’epoca in Toscana non soltanto esportato a Genova e in Francia. Lo stato delle foreste si aggravò perfino dopo il 1777, anno in cui il granduca Pietro Leopoldo di Lorena, controllata la povertà in cui vivevano gli abitanti del versante romagnolo, allora ricadente nella Romagna Toscana, donò loro di fare legna fino a ridosso del crinale e indirizzò un programma di miglioramento della rete stradale.
Le foreste furono sostituiti da versanti in erosione e a poderi, con un tale disastro di cui si dovette dispiacere di lì a poco lo stesso granduca: “cancellate che furono le leggi proibenti il taglio dei boschi [..] cominciarono tutti a demolire con fare i così chiamati ronchi, i quali consistono nel tagliare la macchia, bruciarla e poi dissodare e lavorarla per sementarvi il grano, il quali per due o tre anni cresce meravigliosamente, ma poi dopo la terra smossa e non più trattenuta dall’erba e dagli alberi e portata dalle impetuose piogge nei fiumi di cui rialza i letti con pregiudizio della pianura, la montagna resta di scogli nudi”.
Davanti a questa disgrazia, interrotta la gestione dell’Opera del Duomo di Firenze, Leopoldo II consegnò la gestione delle foreste ai monaci di Camaldoli. Ma un incendio, che nel 1828 annientò più di 4000 abeti, e un uragano, nel 1833, non concessero di ottenere i risultati sperati, tanto che nel 1837 la concessione fu annullata.
Nel 1838 il Granduca affidò allora la salvaguardia dei suoi boschi all’ispettore forestale di origine boema Karl Simon, che si spostò a Pratovecchio orientandone una saggia amministrazione di origine mitteleuropea, che proseguì per quasi cinquant’anni e porto alla rinascita del manto forestale. Furono testate nuove regole colturali, ripresi aree degradate, avviate estese piantagioni anche sperimentali e nel 1840 fu realizzata la prima reintroduzioni del cervo. Nel 1866, con il decreto di abolizione degli ordini religiosi, i boschi di Camaldoli, dopo otto secoli di amministrazione dei monaci, diventarono demanio del Regno d’Italia, e furono dati prima al Ministero delle Finanze e poi al Ministero Agricoltura e Foreste.
Nel 1900 gli eredi del granduca arresero le loro foreste a privati che ne orientarono uno sciagurato sfruttamento durato dieci anni in cui migliaia di alberi secolari si trasformarono in traversine ferroviarie e fu persino realizzata una ferrovia per trasportare il legname a valle. Nel 1914, per fortuna, i boschi del versante romagnolo furono comperati dallo stato e andarono a modellare , insieme a quelli del demanio forestale di Camaldoli, le foreste demaniali Casentinesi. Uniche parentesi tragiche furono le due guerre mondiali, in cui le foreste furono distrutte per la legna. Nel dopoguerra, l’emigrazione, già cominciata alla fine dell’ottocento, prese ritmi tali da portare allo spopolamento: si allontanarono mezzadri e intere famiglie per andare a cercare lavoro in città, tanto che i borghi, che negli anni sessanta furono raggiunti dalle strade asfaltate, rimasero abitati solo dagli anziani.
Il Parco dopo l'unità d'Italia
Dell’istituzione di riserve per proteggere le bellissime foreste del crinale tosco-romagnolo e per accrescere attività di ricerca si parla per la prima volta nella supposta Relazione Sansone del 1915, compilata dopo l’acquisto da parte dello stato delle foreste nel versante romagnolo e la loro unificazione con il Demanio Forestale di Camaldoli nel grande complesso delle foreste Demanieli Casentinesi. Quindi per anni furono pilotati molte operazioni di ripresa di aree degradate e riforestazioni che parteciparono a rendere migliore la situazione.
Tra le due guerre, e precisamente nel 1934, i concorrenti alla settima Escursione fitogeografica Internazionale, seguiti dal grande naturalista Pietro Zangheri, percorsero le foreste tra il passo del Camaldoli e Muraglione, stimandone il grande valore naturalistico e dando loro ripercussione internazionale. Il bisogno di difendere le foreste con l’istituzione di riserve naturali fu rinforzata da Pietro Zangheri e dal rettore dell’Università di Bologna Alessandro Ghigi nel congresso nazionale per la protezione della natura, svoltosi nel 1959a Bologna. Nello stesso anno, su suggerimento del professor Mario Pavan dell’Università di Pavia, l’azienda per le foreste demaniali destinò 113 ettari di bosco a riserva naturale, la prima in Italia, dando vita al primo nucleo della riserva naturale integrale di Sassofratino.
Riconoscimenti internazionali
Negli anni sessanta, l’abbandono dei coltivi montani permise all’azienda di stato per le foreste Demaniali integrali il processo di ricolonizzazione volontaria delle aree un tempo coltivate con azioni di rimboschimento. Pietro Zangheri si impegnò per l’istituzione del Parco Nazionale di Campigna, “affinché i posteri possano arrivare a godere la visione di questi grandi boschi appenninici nel loro aspetto naturale, vergine o quasi”.
Per fortuna, alla fine dei anni settanta, proprio mentre i lupi cominciavano a ritornare nelle foreste del crinale arrivarono i riconoscimenti internazionali: nel 1977 il Consiglio d’Europa affermò parte delle foreste riserve Europea biogenetica per il grande valore naturalistico. Agli inizi del 1972 buona parte delle foreste fu spostata alle amministrazioni regionali e, nel 1988, con atto di grande rivendicazione, la regione Emilia-Romagna, di 16.000 ettari. Infine, il 14 dicembre 1990, sotto l’impulso delle associazioni ambientaliste e del mondo scientifico, venne fondato il parco nazionale delle foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna, contenente la quasi totalità del parco regionale del Crinale Romagnolo e grandi territori in Toscana. Nel 1993 un nuovo decreto avviò l’Ente gestore e deliberò i confini esatti del parco, inaugurato ufficialmente il 30 ottobre dello stesso anno.
L’Ente ha subito indirizzato iniziative per rendere comprensibili le attività agricole con la protezione della natura: ha provveduto a risarcire i danni provocati alle colture dalla fauna selvatica, ha sviluppato attività di ricerca sulla fauna e sulla vegetazione del Parco.
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